Nel cuore di un’estate carica di tensioni economiche e scelte politiche cruciali, il primo ministro francese François Bayrou ha presentato le linee guida della Legge di Bilancio per il 2026, definendola come un «momento di verità» per la Francia. Con un piano di risparmio da 43,6 miliardi di euro, la manovra si propone di ridurre il deficit pubblico e interrompere la crescita inarrestabile del debito, facendo appello a un impegno collettivo e a scelte difficili. Emmanuel Macron, in Consiglio dei Ministri, ha definito il piano come un gesto di «coraggio, audacia e lucidità», sostenendo pubblicamente l’azione del premier.
Ma cosa comporta davvero questa manovra? E quali potranno essere le sue conseguenze politiche, economiche e sociali? Proviamo ad analizzarla nei suoi elementi chiave.
Una delle misure più simboliche (e potenzialmente divisive) riguarda la proposta di abolire due giorni festivi nazionali. L’obiettivo dichiarato è quello di aumentare la produttività nazionale e stimolare la crescita economica, all’interno di una logica di “sforzo collettivo” per il risanamento.
François Bayrou ha fatto esplicitamente riferimento al lunedì di Pasqua e all’8 maggio, definendo il mese di maggio «un vero e proprio gruviera di ponti» e affermando che il lunedì dell’Angelo «non ha alcun significato religioso».
Il messaggio è chiaro: più giornate lavorative = più produzione = più crescita.
Una scelta che potrebbe far risparmiare diversi miliardi all’anno allo Stato, ma che rischia di incontrare forti resistenze culturali e sindacali.
Il fulcro della manovra resta però il tentativo di arginare una deriva debitoria sempre più insostenibile. La Francia ha superato i 3.300 miliardi di euro di debito pubblico, una cifra che, come ha sottolineato Bayrou, rappresenta «più di quanto la Francia intera produce in un anno». Ogni secondo, ha aggiunto, «la nostra nazione accumula 5.000 euro di nuovo debito».
Il piano del governo prevede una riduzione graduale del deficit:
• 5,4% nel 2025
• 4,6% nel 2026
• 4,1% nel 2027
• 3,4% nel 2028
• 2,8% nel 2029
L’obiettivo è stabilizzare il rapporto debito/PIL e contenere il costo degli interessi, che entro il 2029 potrebbe raggiungere 100 miliardi di euro annui, diventando la prima voce di spesa pubblica.
In questo scenario, Bayrou ha evocato il rischio di una deriva “alla greca”, ricordando che la Francia è oggi il terzo Paese più indebitato dell’Eurozona, dopo Grecia e Italia. Il riferimento serve a sottolineare la necessità urgente di un’inversione di rotta, prima che sia il debito stesso a dettare le condizioni della politica nazionale.
Un altro pilastro della manovra è l’introduzione di un “anno bianco” nel 2026:
• Nessuna rivalutazione delle pensioni
• Nessun aumento delle prestazioni sociali
• Congelamento degli scaglioni dell’imposta sul reddito
La misura viene giustificata da un’inflazione prevista intorno all’1%, ma rappresenta comunque un duro colpo per milioni di famiglie e pensionati. Bayrou ha garantito che le pensioni «non saranno ridotte», ma nemmeno aumentate. Una scelta che alimenterà il dibattito sulla giustizia sociale della manovra.
Non tutte le voci di spesa saranno oggetto di tagli nel 2026. Su richiesta diretta del presidente Macron, il bilancio del Ministero della Difesa aumenterà di 3,5 miliardi di euro il prossimo anno, con un ulteriore incremento previsto per il 2027. Quando Macron è salito all’Eliseo nel 2017, la spesa per la Difesa era di 32 miliardi; oggi supera i 50, e si prevede raggiunga 64 miliardi entro il 2030.
Questa scelta si inserisce nel contesto geopolitico europeo e rappresenta l’unico aumento netto previsto nella manovra, in netto contrasto con i sacrifici imposti a sanità, welfare e pubblica amministrazione.
Un altro tassello della strategia è la lotta alle frodi fiscali e sociali. In autunno arriverà un progetto di legge ad hoc, pensato per:
• Migliorare il monitoraggio e la riscossione
• Rafforzare le sanzioni
• Eliminare le nicchie fiscali e sociali che, secondo Bayrou, favoriscono i più ricchi e le grandi imprese.
Una misura che mira a riequilibrare la distribuzione del carico fiscale, ma che potrebbe incontrare resistenze trasversali.
Nonostante il sostegno del Presidente Macron, il futuro politico di questa manovra è tutt’altro che certo. Bayrou non dispone di una maggioranza autonoma in Parlamento. L’opposizione, dai socialisti al Rassemblement National, ha già espresso forti critiche e c’è il rischio concreto che l’intero piano venga bloccato o ridimensionato.
Il premier potrebbe ricorrere, ancora una volta, al famigerato articolo 49.3 della Costituzione, che consente di approvare una legge finanziaria senza voto parlamentare. Ma questo aprirebbe la strada a un voto di sfiducia che metterebbe a rischio la stabilità del governo.
La manovra Bayrou non è solo una proposta economica: è un esperimento di disciplina fiscale in un contesto democratico fragile, un invito a ripensare il ruolo dello Stato, della spesa pubblica e del lavoro nel XXI secolo.
Riuscirà la Francia a trasformare questa crisi in una rinascita?
Oppure sarà l’ennesimo capitolo di una lunga stagione di riforme annunciate e mai realizzate?
In ogni caso, l’autunno sarà decisivo. E la sfida francese è destinata a fare scuola anche altrove in Europa.