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La tassazione delle società finanziarie ed holding nel Regno Unito

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Il presente articolo si pone l’obiettivo di delineare il trattamento tributario delle società finanziarie e holding nel Regno Unito, privilegiando l’analisi delle operazioni poste in essere dalle holding di famiglia e dalle società la cui principale attività è gestire partecipazioni in società quotate e non. Il presente articolo non tratta direttamente le società finanziarie, ovvero le società la cui attività è di natura regolamentata, anche se, a ben vedere, molte delle disposizioni tributarie qui commentate possono essere applicate tout court anche alle società regolamentate dalla Financial Conduct Authority (FCA). Nel Regno Unito non esiste una definizione fiscale univoca di società finanziaria e holding in quanto, anche nel caso delle società che svolgono attività regolamentate, le stesse sono a tutti gli effetti societari, contabili e fiscali società “ordinarie”.

Le società finanziarie, holding e di investimento: definizioni, aspetti generali e novità

Per prassi consolidata, una holding company è una società il cui esclusivo o principale scopo è di detenere una o più partecipazioni (di controllo o meno in una o più società). Ai fini del presente lavoro pertanto faremo riferimento per questioni di semplicità alle holding laddove detta tipologia ha come obiettivo principale la detenzione e gestione di partecipazioni qualificate, nonché la detenzione e gestione di portafogli di private banking e di partecipazioni non qualificate (e non quotate). Le holding e le holding finanziarie possono assumere la forma di una limited company o di una partnership (ma nel presente articolo le partnership non saranno oggetto di analisi puntuale) e sono assoggettate alle disposizioni generali di diritto commerciale inglese, senza pertanto che le stesse debbano soggiacere all’iscrizione in albi speciali o essere assoggettate a discipline specifiche.

Nel Regno Unito, pertanto, tutte le holding appartengono al tipo societario comune, non esistendo nessuna normativa “speciale” e nessun regime statutariamente predeterminato, tale da determinare l’applicazione di una disciplina speciale (così come nessuna forma di controllo, tranne quelle ordinariamente previste quali ad esempio la revisione dei conti al ricorrere dei requisiti di legge). Peraltro, vi sono alcune norme che, disciplinando talune specifiche aree, ne tratteggiano le principali caratteristiche. Dal punto di vista contabile, CA 2006, s. 1159 definisce una holding come una società la cui attività principale è gestire una o più partecipazioni. CTA 2009, s. 1218B (1) contiene la nozione di company with investment business, definita come una company whose business consists wholly or partly of making investments. La nozione di investment company è contenuta invece in ICTA 1998, s. 180 come a company whose business consists wholly or mainly of making investments and the principal part of whose income is derived therefrom. La nozione di company with investment business - introdotta dal Finance Act 2004 - appare più estesa di quella di investment company e pertanto deve essere considerata come riferimento per individuare a tutti gli effetti fiscali le disposizioni applicabili alle società finanziarie e holding. Allo stato attuale, la seconda definizione (investment company) sembrerebbe assumere rilevanza soltanto ai fini di una specifica disposizione disciplinante il c.d. share loss relief. L’introduzione nel 2004 del concetto di company with investment business ha di fatto comportato che anche le società con attività trading potessero beneficiare di alcune disposizioni in tema di deducibilità di taluni costi (quali ad esempio le c.d. management expenses, si veda infra per maggiori dettagli).

Recentemente il legislatore è intervenuto, seppur indirettamente, sul concetto di società holding. Infatti, a partire da aprile 2023, l’aliquota ordinaria per la Corporation tax (CT) è stata fissata al 25%: tuttavia, le small companies con meno di GBP 50,000 di utile vengono tassate al 19%, mentre il reddito netto da tale soglia fino a GBP 250,000 viene tassato con un sistema di aliquote crescenti (dal 19% al 25% per l’appunto) (Marginal relief). In particolare, le nuove disposizioni contenute in CTA 2010, s. 18N2, stabiliscono, inter alia, che le close investment holding companies (“CIC”) sono soggette all’aliquota piena e non possono beneficiare né dell’aliquota agevolata al 19% né del Marginal relief. La disposizione citata definisce a contrariis una CIC come una società che esercita (o che ha l’obiettivo di esercitare) almeno in via esclusiva o principale una attività commerciale, ivi includendo lo sfruttamento di proprietà immobiliari tramite la locazione a soggetti terzi3 e altre attività (anche di carattere finanziario, come detenzione di partecipazione e concessione di finanziamenti) nei confronti di una qualifying company (definite come società controllate o controllanti che esercitano a loro volta una attività commerciale).

Sembra emergere pertanto che la maggior parte delle holding appartenenti ad un gruppo non rientrino in tale definizione. Tuttavia, anche laddove ad una prima lettura alcune holding potrebbe rientrare nel novero delle CIC (ad esempio quelle di gestione di partecipazioni non di controllo), occorre comunque far riferimento al concetto di attività trading nel suo complesso e come interpretata in relazione anche ad altre disposizioni. La giurisprudenza inglese si è soffermata in molteplici occasioni sulla rilevanza di attività commerciale (trading) per una investment company/ company with investment business. Non rientra nel presente articolo l’analisi della nozione di attività trading: in questa sede, peraltro, è sufficiente ribadire che sembra ormai assodato, sia a livello giurisprudenziale che di prassi amministrativa, che una holding possa essere considerata, nella maggior parte dei casi, a tutti gli effetti una società trading (nel senso che svolge una effettiva attività commerciale.

Tuttavia, con il nuovo sistema di aliquote (e dunque considerando che la definizione di CIC può avere un impatto finanziario importante), non possiamo escludere che possano emergere differenze di interpretazione anche sostanziali. La formazione del reddito imponibile: regole generali e disposizioni specifiche.

La regola generale per la determinazione del reddito d’impresa è contenuta nella section 25, Income Tax Act 2005: il reddito imponibile è determinato a partire dall’utile definito secondo i principi contabili vigenti e applicando le variazioni (in aumento e in diminuzione) previste dalle disposizioni contenute nelle leggi tributarie. Anche le società finanziarie e holding, dovendo preparare i bilanci secondo i principi contabili generalmente accettati, devono pertanto partire dal risultato contabile per pervenire al reddito imponibile e pertanto sono soggette a tutte le disposizioni di natura tributaria previste dall’ordinamento tributario domestico. In questo articolo, ci soffermeremo su alcune disposizioni tipicamente applicabili alle finanziarie e alle holding e sul trattamento tributario di talune categorie di reddito. A tal fine, e per agevolare l’analisi, proveremo a percorrere le fasi necessarie per pervenire alla formazione del reddito imponibile, soffermandoci sulla preparazione della tax computation e di alcune specifiche disposizioni.

La determinazione del reddito imponibile deve partire, come in precedenza detto, dai risultati di bilancio. La normativa fiscale inglese prevede che l’imposta finale debba essere calcolata determinando in via separata alcune “categorie” di reddito e successivamente ed in via residuale il reddito d’impresa propriamente detto (ovviamente i redditi derivanti dalle categorie di reddito confluiscono nei total profits). Pertanto, vi sono alcune categorie di reddito che andrebbero estrapolate quali ad esempio quelli derivanti dalla gestione immobiliare (property income) e quelli derivanti dalla gestione finanziaria (non-trading loan relationship).

Tuttavia, assumendo ai fini del presente articolo che non vi siano redditi di natura immobiliare, dal punto di vista operativo, si potrebbe procedere in maniera differente rispetto a quanto sopra delineato e pertanto assumendo come dato iniziale l’utile/perdita di bilancio, effettuare talune variazioni in aumento e in diminuzione per poi (alla fine) determinare il reddito imponibile delle singole gestioni laddove fiscalmente richiesto. Questa modalità di determinazione del reddito imponibile, oltre ad essere più facilmente comprensibile anche ai fini del presente articolo, presenta maggior facilità operativa e pertanto risulta spesso adottata anche dai numerosi software fiscali approvati da HMRC.

Per quanto concerne le management expenses, i criteri di computo seguono le regole di contabilità e pertanto rilevano per competenza sulla base dei principi contabili generalmente accettati. Tali costi sono dedotti in via preferenziale dal reddito imponibile, neutralizzando tuttavia eventuali ricavi non tassati (ma non dai dividendi). Una holding company può anche detenere un portafoglio di titoli. Section 163, CTA 2009 introduce il concetto di trading stock, definendola come qualsiasi property che sia ceduta nel corso ordinario di una attività economica, sebbene nel corso degli anni la definizione ha ricompreso differenti e variegate fattispecie

È possibile, pertanto, gestire contabilmente un portafoglio di titoli alla stregua di un trading stock, nella misura in cui, innanzitutto, la valutazione rifletta la corretta applicazione dei GAAP. In secondo luogo, la valutazione deve riflettere i due metodi fiscalmente accettati: il minore tra il costo e il net realisable value da un lato e il mark to market dall’altro. Vale la pena effettuare alcune ulteriori considerazioni a seconda che ititoli siano relativi ad entità quotate oppure no. Nel primo caso, non vi è dubbio che il metodo maggiormente affidabile ed utilizzato sia quello mark to market, spesso fornito dal medesimo intermediario finanziario con una logica asset market value basata sui prezzi desumibili dalle borse valori e dalle contrattazioni pubbliche.

Nel secondo caso, ovvero laddove i titoli non siano quotati, la unica valorizzazione possibile risulta essere il costo: infatti, in quanto non fiscalmente rilevanti le svalutazioni derivanti da perdite di valore non durevoli, il costo rappresenta di fatto l’unico criterio fiscalmente accettabile. Le circostanze in cui sia possibile applicare il net realisable value conferendo a quest’ultimo un valore fiscalmente accettabile si limitano alle fattispecie dove la perdita di valore sia durevole (e facilmente dimostrabile), quali a titolo esemplificativo in caso di liquidazione societaria.

La tassazione dei dividendi

Section 931 CTA 2009 stabilisce che i dividendi sono assoggettati a CT, tranne nel caso in cui sia previsto un regime di esenzione. Il regime di esenzione risulta piuttosto ampio e consente, tranne in alcuni casi specifici, l’esenzione della maggior parte dei dividendi ricevuti, a prescindere peraltro dal livello partecipativo.

È possibile distinguere due tipi di esenzione a seconda che il beneficiario sia unasmall company13 oppure no. Nel primo caso, il dividendo è esente qualora: a) il soggetto pagatore sia residente in UK oppure in un qualifying territory; b) la distribuzione avvenga non in relazione ad un pagamento non qualificabile come dividendo (ad esempio un interesse); c) nessuna deduzione di costi sia permessa nella giurisdizione del soggetto pagatore in relazione alla distribuzione di utile ed infine; d) la distribuzione non sia effettuata nell’ambito di un fenomeno di natura elusiva. La disposizione più rilevante è sicuramente quella di qualifying territory.

Un territorio si considera qualifying se il Regno Unito ha sottoscritto con il Paese di residenza del soggetto pagatore un Trattato contro le doppie imposizioni che includa una clausola di non discriminazione: peraltro, anche in presenza di un Trattato contro le doppie imposizioni che preveda la clausola di cui sopra, un dividendo risulta comunque non esente se il soggetto pagatore è una società excluded ai sensi di alcune specifiche disposizioni (Distributions (Excluded Companies) Regulations 2009 (SI 2009/3314)14. Parimenti è esente anche il dividendo distribuito da una controlled foreign company. In caso invece la società beneficiaria non sia una small company, si applicano altre disposizioni contenute nel CTA 2009, Pt. 9A, ch. 3 che, nella quasi totalità dei casi, consentono di fruire dell’esenzione per i dividendi ricevuti: in particolare, i dividendi devono rientrare in una delle categorie esenti, non devono essere assimilati ad interessi né consentire una deduzione al momento del pagamento.

Plusvalenze, minusvalenze e il regime di substantial shareholding exemption

La tassazione delle plusvalenze (chargeable gains) (e la rilevanza fiscale delle relative minusvalenze) derivanti dal trasferimento di beni risulta piuttosto complessa ed articolata. In questa sede, ci soffermeremo sulle principali aree di interesse avendo come riferimento la cessione di partecipazioni detenute dalle società with investment income in generale. Le plusvalenze e le minusvalenze assumono piena rilevanza ai fini della Corporation Tax secondo il principio di competenza, sebbene la legislazione rilevante ai fini della individuazione e computo sia quella contenuta nella Taxation of Capital Gains Act (TCGA) 1992, Parte 1, Ch. 216-17. In linea generale, è importante sottolineare che la legislazione inglese non conferisce valenza “fiscale” alla natura dei beni da cui derivano tali componenti di reddito né tanto meno alla relativa classificazione contabile18. In via sintetica, è possibile distinguere 3 differenti tipologie di plusvalenze (e minusvalenze).

derivanti dalla cessione di partecipazioni in titoli, azioni e quote di altre entità societarie (per semplicità nel prosieguo “partecipazioni”): a) quelle utilizzati come bene merce (e pertanto valorizzate sulla base dei principi del reddito d’impresa come stock trading); b) quelle che ricadono nel regime di SSE; e c) per differenza tutte le altre (per le quali peraltro, vi sono numerosi meccanismi di esclusione).

Stock trading

Per quanto riguarda la cessione di titoli considerati contabilmente stock trading (e pertanto idonei a generare un reddito d’impresa), valgono le regole introdotte precedentemente, cui si rimanda per dettagli.

Vale la pena in questa sede sottolineare che le partecipazioni generano di regola, al momento della disposal, sempre un chargeable gain tranne nel caso in cui tali partecipazioni siano di fatto detenute all’interno di un portafoglio di private banking (il che è possibile soltanto se le partecipazioni fanno riferimento a titoli “quotati”). In tutti gli altri casi, anche laddove una partecipazione valutata al costo sia non di natura strategica, la relativa cessione genera un chargeable gain (o un capital loss): infatti, la valorizzazione come stock trading presuppone l’utilizzo di un metodo di valutazione mark to market che in presenza di titoli non quotati, risulta dal punto di vista teorico fattibile seppure sotto il profilo operativo, di difficile attuazione.

Substantial shareholding exemption

Le disposizioni in tema di esenzione per i capital gains e le perdite realizzare a seguito di un trasferimento di partecipazioni “qualificate” nel capitale di altre società sono state introdotte dal Finance Act 2002 e contenute nel TCGA 1992, s. 192° e Sch. 7AC (substantial shareholding exemption). Occorre fin da subito sottolineare che queste disposizioni non rappresentano un regime di “favore” o alternativo ma si applicano in modo inderogabile (tramite un sistema di variazioni in aumento e in diminuzione dal reddito imponibile): ne deriva che se da un lato una plusvalenza è esente, dall’altro la perdita non assume rilevanza fiscale (in nessun caso). I requisiti per beneficiare del regime SEE sono i seguenti:
- la partecipazione deve essere “qualificata: l’investing company deve essere titolare di diritti di voto e/o economici almeno pari al 10% del capitale della investee company;
- la stessa investee deve essere detenuta per almeno 12 mesi nei 6 anni precedenti la data del trasferimento;
- sempre la investee deve essere una società trading oppure una holding o una subholding di un trading group.

Per quanto concerne il requisito della commercialità, una società trading è una società che svolge attività di natura commerciale, essendo possibile l’esercizio anche di una attività non trading ma nella misura in cui non sia “sostanziale”. Mentre, pur non esistendo una nozione legislativa del concetto espresso con il termine “sostanziale”, HMRC21 ha indicato nella soglia del 20% il limite da applicare ad un insieme di indicatori (fatturato, beni, numero dipendenti etc.), diventa complesso definire quale attività sia trading. Il paragrafo 27 Sch. 7AC TCGA 1992 dispone che ai fini dell’applicazione del regime SSE, il termine trade debba acquisire il medesimo significato previsto dall’Income Tax Act, a condizione che il trade sia condotto su una base commerciale e con l’intenzione di realizzare un profitto.

Di fatto, tale nozione, così come peraltro interpretata in molteplici occasioni dalla giurisprudenza, sembrerebbe ormai aver acquisito una sua consistenza tale da abbracciare tutte le attività economiche, potendo affermare che soltanto alcune limitate fattispecie ne siano escluse: a titolo esemplificativo, anche nel caso di gestione di beni immobili, sarebbe sufficiente dimostrare un minimo di organizzazione al fine di rispettare tale condizione. Il regime SSE trova applicazione anche in altre tipicizzate situazioni qui sotto riportate:
1) First subsidiary exemption: il regime di esenzione si applica anche in relazione alle plusvalenze derivanti dalla cessione di opzioni e altri diritti legati alla partecipazione laddove vi sia già una relazione societaria rilevante ai fini SSE;
2) Second subsidiary exemption: il regime di esenzione si applica anche laddove, in aggiunta a quanto previsto al punto precedente, le condizioni per l’esenzione non sono rispettate al momento della cessione (ma lo sono state in precedenza);
3) Third subsidiary exemption: il regime di esenzione si applica in assenza del requisito di commercialità se le plusvalenze sono realizzate da una società detenuta (per almeno l’80%) da investitori qualificati a fronte di un investimento qualificato del 10% ed almeno pari a 20 milioni di sterline inglesi.

Il regime SSE trova applicazione anche a talune specifiche operazioni di conferimento: in particolare, la plusvalenza derivante dalla cessione di un nuovo veicolo societario appositamente costituito per ricevere le attività (o parte di esse) del soggetto cedente, si configura come esente al ricorrere di talune condizioni: a) immediatamente prima della cessione il cedente detenga una partecipazione qualificata; b) i beni siano stati trasferiti all’interno di un gruppo, e c) gli stessi siano stati utilizzati ai fini commerciali da un soggetto appartenente al gruppo (ma non dal veicolo di recente costituzione).

Questa disposizione (TCGA 1992, Sch 7AC) risulta utile nei casi in cui un gruppo prevede di valorizzare una parte del proprio business e anche in concomitanza ad operazioni di ristrutturazione, sebbene vi siano alcune significative limitazioni (ad esempio, non troverebbe applicazione in caso di presenza di beni immateriali)23.

Altre plusvalenze e minusvalenze

Le plusvalenze e le minusvalenze che non rappresentano stock trading o che non ricadono nel regime SSE sono fiscalmente rilevanti come chargeable gain e come allowable loss. Al fine del calcolo del reddito imponibile, si rimanda a quanto detto in precedenza, rilevando che eventuali svalutazioni e rivalutazioni non hanno alcuna rilevanza fiscale e che pertanto, soltanto in caso di disposal24, assume rilevanza la singola componente di reddito.

Mentre le regole di tassazione delle plusvalenze non prevedono specifiche eccezioni, tranne quanto rilevato nei paragrafi precedenti, occorre invece effettuare ulteriori considerazioni circa il regime di tassazione delle capital losses nell’ambito del reddito d’impresa (in quanto, in questo caso, come detto, sono fiscalmente rilevanti). Una capital loss può essere utilizzata se una specifica disposizione lo prevede per il tramite di uno specifico relief (si veda infra in relazione allo share loss relief) oppure nella misura in cui sia una allowable loss. Una allowable loss è tale quando:

-a) non include una perdita che, se fosse stata una plusvalenza sarebbe stata esente;
b) è stata determinata secondo le disposizioni contenute nel TCGA; c) la stessa deve essere quantificata e riportata nella dichiarazione fiscale. Una minusvalenza, una volta determinato che sia allowable, può essere utilizzata soltanto in compensazione con i chargeable gains dello stesso periodo o dei periodi successivi.

La compensazione è obbligatoria e soggetta soltanto alla corporate capital loss restriction (CCLR). CCLR introduce un limite all’utilizzo delle capital losses in periodi successivi per un importo pari alla annuale deduction allowance e al 50% delle plusvalenze eccedenti tale deduzione: considerando che tale deduzione è fissata in 5 milioni e che può essere imputata a discrezione del contribuente tra plusvalenze e utile d’impresa ai fini della corporate income loss restriction, si ritiene che la grande maggioranza delle imprese non sia toccata da tale disposizione.

Oltre alla fattispecie di compensazione “verticale” descritta nei paragrafi precedenti, è possibile ottenere una compensazione “orizzontale” a determinati requisiti. Lo share loss relief (ITA 2007, Pt 4 Ch 6) e CTA 2010, Pt 4 Ch 4) consente di compensare una capital loss derivante dalla cessione di partecipazioni in società non quotate , con un trading income al ricorrere di talune disposizioni. Di fatto, questa disposizione si applica nel caso di minusvalenze realizzate in relazione ad investimenti in società le cui azioni non sono quotate, di piccole e medie dimensioni.

Occorre sottolineare che soltanto le persone fisiche e le investment companies possono beneficiare di tale disposizione: tuttavia, come rilevato in precedenza, sebbene la nozione di investment company appaia meno estensiva di quella di “a company with investment business”, lo share lossrelief può avere una applicazione più estesa di quanto appaia. Si fa presente che tale agevolazione può essere applicata (di regola tramite apposita opzione nella dichiarazione dei redditi) non solo nel caso di una cessione ma anche in caso di negligible value (ovvero quando, sebbene non vi sia stato un trasferimento a tutti gli effetti, la partecipazione ha subito una permanente e misurabile perdita di valore, parziale o totale).

Le condizioni per ottenere lo share loss relief sono nel prosieguo sintetizzate: - transazione: la partecipazione consiste in azioni legalmente sottoscritte, cedute e/o trasferite a condizioni di mercato e che la relativa perdita sia allowable (si veda sopra per dettagli); - società cedente: deve essere una investment company durante 6 anni precedenti la cessione e non deve nello stesso arco temporale essere related (nel senso di non controllare o far parte dello stesso gruppo); - partecipazione ceduta: deve essere una qualifying trading company - le cui azioni non sono quotate (ma lo stesso non sembra applicarsi se le azioni sono quotate ad un Alternative Market) - per un periodo di 6 anni di cui sopra (da verificarsi in relazione anche ad altre società a quest’ultima related), laddove la stessa deve avere un attivo di bilancio (al lordo delle passività) di 7 o meno milioni prima dell’emissione delle azioni oggetto di cessione e 8 o meno milioni dopo.

Il regime Qualifying Holding Asset Company

Il regime Qualifying Asset Holding Company (QAHC) è stato introdotto con il Finance Act 2022, Sch. 2. Nelle intenzioni del legislatore, obiettivo del QAHC sarebbe quello di creare una holding “intermedia” che dovrebbe facilitare il flusso di capitale, redditi e plusvalenze tra investitori e gli investimenti sottostanti. I requisiti più complessi sono i seguenti:
a) Investment strategy condition: gli investimenti, diretti e indiretti, in titoli quotati non beneficiano del regime QAHC
b) Activity condition: la gestione di investimenti qualificabile come attività d’impresa (in altri termini, si richiede un mimino di organizzazione imprenditoriale)
c) Ownership condition: almeno il 70% delle azioni di una QAHC devono essere detenute da investitori istituzionali (fondi “aperti” e in generale forme di investimento collettivo).

Le principali conseguenze fiscali di qualificarsi come QAHC (regime che peraltro deve essere oggetto di preventiva autorizzazione) sono le seguenti:
1) Esenzione sulle plusvalenze realizzare dalla cessione di proprietà estere e di partecipazioni (pertanto a prescindere dal livello partecipativo, sempre che gli investimenti sottostanti non siano indirizzati per almeno il 75% del loro valore in proprietà immobiliari inglesi)
2) Deduzione degli interessi relativi a prestiti c.d. partecipativi
3) Esenzione da ritenuta sul pagamento di interessi
4) Esenzione da Stamp duty sulle operazioni di riacquisto di proprie azioni e prestiti “partecipativi”.

Non rientra negli obiettivi del presente articolo una disanima articolata28 delle disposizioni in tema di QAHC: l’intento iniziale di competere con altre giurisdizioni (ad esempio Lussemburgo) non sembra peraltro essere stato raggiunto per svariate motivazioni, tra cui vale la pena citare la ownership condition (che non permette che investitori non istituzionali possano partecipare in maniera significativa) e le limitazioni regolamentari post Brexit.

Utilizzo e riporto delle perdite

Alcune disposizioni (soprattutto in tema di rilevanza e di computo di una minusvalenza) sono state oggetto di commento nei precedentemente. In termini generali, per quanto poi concerne le regole di utilizzo e di riporto delle perdite ai fini fiscali, occorre determinare se la perdita deriva da minusvalenze oppure dalla gestione commerciale ordinaria.

Nel primo caso, le capital losses sono utilizzate in primis a compensazione delle plusvalenze realizzate nel medesimo periodo: in caso di differenza, quest’ultima può essere riportata indefinitamente in avanti (rimane peraltro sempre in vigore la regola secondo cui una minusvalenza deve essere compensata, quindi senza possibilità di scelta, con una plusvalenza appena possibile). I meccanismi di compensazione, utilizzo e riporto delle perdite derivanti dalla gestione trading sono alquanto complesse e verranno analizzate nel prosieguotenendo conto delle fattispecie più rilevanti per le società holding.

Le perdite trading sono utilizzate in compensazione con i total profits del medesimo periodo, a prescindere pertanto dalla partecipazione delle singole gestioni alla formazione dell’utile finale: tale meccanismo è conosciuto come sideways relief. Le perdite trading non utilizzate possono essere riportate in avanti (carry-forward relief) e anche indietro (carry-back relief). Quest’ultimo regime è peculiare in quanto consente di utilizzare una perdita in compensazione con un reddito imponibile del periodo precedente.

In linea generale, una perdita trading acquisisce rilevanza fiscale (al fine del computo dei total profits) dopo che siano riconosciute le differenze negative derivanti da loan relationship ma prima delle differenze da loan relationship di anni precedenti, eventuali donazioni e perdite derivanti dalla gestione di gruppo. Le management expenses sono deducibili in precedenza, così come eventuali differenze da loan relationship riportate in avanti e perdite della gestione immobiliare29. Le difficoltà maggiori nella gestione delle perdite nell’ambito delle società holding di fatto emergono laddove in un arco temporale di tre periodi una società matura perdite e utili trading e non trading: infatti, nella misura in cui tali differenze maturato nel medesimo periodo, non vi sono disposizioni ostative alla totale compensazione (tranne alcune specifiche eccezioni non trattate nel presente articolo). Tuttavia, laddove invece vi sono periodi in utile e in perdita, la distinzione tra perdite trading e non trading assume specifica rilevanza.

Infatti, mentre per le perdite trading è possibile riportarle indietro e avanti senza particolari eccezioni, le minusvalenze non possono essere riportate indietro in alcun caso, mentre possono essere utilizzate in avanti ma soltanto in compensazione con plusvalenze di periodi successivi.

IVA e imposte indirette

Ai fini IVA, il Regno Unito segue, anche dopo Brexit, l’impostazione e le regole comunitarie. Al fine di garantire che una holding sia un soggetto passivo IVA, non occorre soltanto che vi sia una attività economica ma anche che vi sia un collegamento immediato con le operazioni imponibili.

Sebbene come detto in più occasioni in precedenza ai fini delle imposte dirette, anche ai fini IVA appare acclarato che lo svolgimento di attività di investimento, laddove organizzato come attività d’impresa, non preclude l’assoggettamento ad IVA e la possibilità di detrarre l’IVA sugli acquisti di beni e servizi. Al fine in particolare di garantire un pieno diritto alla detrazione, occorre che la holding company sia la diretta beneficiaria del servizio, svolga una attività economia ai fini IVA e che tale attività debba includere la fornitura di servizi imponibili (fossero anche interessi attivi su prestiti a partecipate).

Per quanto poi concerne la fornitura di servizi imponibili, diventano soprattutto nel caso delle holding, di particolare importanza la circostanza che la stessa fornisca (o intenda effettivamente fornire), pur in presenza peraltro di dividendi, management services, che sono imponibili per natura, sempre che le stesse siano coerenti in termini di valori e che derivino da impegni contrattuali effettivi. In tal caso, infatti, e anche in assenza di tali servizi ma laddove sia possibile dimostrare che un investimento sia effettuato come diretta, continua e necessaria “estensione” di una attività economica (di gruppo), l’IVA su qualsiasi costo addebitato diventa detraibile32. Il trasferimento di azioni e titoli è di regola assoggettabile a Stamp Duty (SD) o a Stamp Duty Reserve Tax (SDRT) a seconda che il trasferimento avvenga rispettivamente con metodi tradizionale oppure in via elettronica.

La tassa viene applicata sugli strumenti che regolano il trasferimento di azioni e titoli con un’aliquota pari al 0,5% del valore (nominale) facciale della transazione. Nella maggior parte delle operazioni di gestione straordinaria, è possibile applicare un regime di esenzione, che deriva dall’applicazione di singole disposizioni contenute in differenti corpi normativi. In linea generale, è possibile affermare che, laddove un trasferimento avvenga all’interno di un gruppo e/o con un genuino fine di riorganizzazione o di ristrutturazione, tale tipologia di tassa può essere annullata.

Le società holding e la pianificazione fiscale internazionale

Il presente articolo non tratta nello specifico gli aspetti di fiscalità internazionale: essendo la holding inglese una società a tassazione ordinaria, si applicano le disposizioni generali in tema di tassazione dei flussi cross border. Si ricorda peraltro che in caso di distribuzione di dividendi, non è prevista per norma interna alcuna ritenuta in uscita, né tanto meno è prevista la tassazione di plusvalenze realizzate a seguito di cessione di partecipazioni (qualificate o non qualificate) da parte di non residenti (a meno che siano partecipazioni in società immobiliari).

Occorre premettere che è innegabile che la perdita di taluni regimi di derivazione comunitaria derivanti dalla Brexit abbia ridotto l’appeal della holding inglese rispetto ad altre giurisdizioni. Peraltro, sebbene si pensi - in tali circostanze - al venir meno di alcune disposizioni circa la tassazione di dividendi ed interessi (senza menzionare ad esempio la Merger Directive), si ritiene che l’impatto forse maggiore deriva non soltanto dalla penalizzazione derivante dalla mancata potenziale applicazione di interpretazioni (favorevoli) scaturenti dalla giurisprudenza comunitaria ma anche dalla esclusione di talune disposizioni domestiche i cui beneficiari possono essere (soltanto) società comunitarie.

A ben vedere, le principali caratteristiche delle holding inglesi sono ormai consolidate34: il dividendo, come detto, è esente da qualsiasi ritenuta (ITA 2007, s. 973), mentre di fatto gli interessi lo sono in molte circostanze in ragione dell’applicazione di normative interne (ad esempio euroritenuta) oppure a seguito dell’applicazione di trattati contro le doppie imposizioni. Tuttavia, sembra evidente che le ultime novità che avrebbero dovuto migliorarne l’appeal (ad esempio, il regime QAHC) appaiono rivolte piuttosto ad una platea di investitori “domestici” (e a investimenti “domestici”) e all’orizzonte non vi sono apprezzabili proposte migliorative.

Si prenda ad esempio la proposta discussa in passato di introdurre delle disposizioni per favorire la “ridomiciliazione” di società estere nel Regno Unito: tale proposta, peraltro destinata a restare lettera morta, sembrava di fatto rivolta ad accelerare un fenomeno di rientro “fiscale” di società ed enti esteri riconducibili a residenti inglesi, pertanto, senza alcun obiettivo di attrarre nuovi capitali esteri. In conclusione giocano a favore dell’utilizzo della holding, oltre ad un insieme di disposizioni fiscali attraenti (e viste in precedenza), il fatto che la holding inglese beneficia di un regime societario e regolamentare inspirato da logiche di flessibilità ed efficienza (difficilmente riscontrabili in giurisdizioni di common law), fattori determinanti e che consentono alla stessa di mantenere un ruolo attivo nella pianificazione societaria e fiscale internazionale, sempre che si rispettino quei requisiti di “operatività reale” e “sostanza” ormai ampiamente condivisi sia a livello domestico che internazionale.

Articolo di Gabriele Schiavone - SGS & Partners, Londra- sulla rivista "Commercio e Fiscalità Internazionale" edito da Ipsoa 

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