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Il vero significato di Diversità, Equità e Inclusione: intervista a Rhonda Talford Knight

In un mondo sempre più interessato a creare una cultura di valori e di comportamenti etici, le aziende spesso proclamano le proprie credenziali di Diversità, Equità e Inclusione ("DEI") per attrarre e trattenere personale di talento. Ma siamo certi che le aziende e il loro management capiscano davvero il significato della DEI e siano veramente impegnati e investiti in essa?

Abbiamo incontrato la dottoressa Talford Knight, fondatrice di Knight Consulting Group LLC ed esperta internazionale di DEI, per discutere dei vantaggi tangibili che la DEI apporta alle organizzazioni e delle sfide che i consulenti incontrano nell'ambiente di lavoro e oltre.

Dottoressa Knight, cominciamo da Lei. Come è giunta a lavorare nell'ambito della DEI?

Innazitutto va detto che quando ho iniziato a lavorare nel settore, non si parlava di DEI, ma di disugualgianza e discriminazione. La mia laurea in studi sociali ed educazione globale è stata fondamentale per comprendere e identificare le disuguaglianze che esistono tra i vari gruppi di individui, nei processi e nei sistemi e quindi risolvere tali disuguaglianze. Fin dai miei anni universitari presso la Ohio State University, mi sono focalizzata sulla conoscenza culturale (cultural competency) e sulla competenza culturale (cultural proficiency) e mi è stato insegnato come avere una prospettiva globale.  Era importante comprendere il valore e il significato di vedere il mondo attraverso una lente globale.

All'epoca ero anche impegnata in conversazioni e in lavori volti all'avanzamento della tecnologia che veniva all'epoca e sarebbe stata utilizzata per influenzare la nostra prospettiva globale. Cominciavo a comprendere che il lavoro che stavo svolgendo significava costruire prospettive e dare un senso di appartenenza in tutti i contesti. La cosa interessante da notare è che non facevamo riferimento a questo lavoro chiamandolo "DEI", ciononostante esaminavamo casi che riguardavano prodotti di aziende internazionali e il concetto di inclusione. Successivamente, grazie al mio background aziendale, ho capito e mi è stato insegnato a spingere oltre i limiti in aree che non erano sempre in prima linea in questo ambito. Si trattava di capire che gran parte di questo lavoro riguarda la creazione di una cultura e di prospettive radicate in azioni e comportamenti che portano a risultati positivi, che includono anche tutte le cose che hanno avuto un impatto sul senso di appartenenza.

Comprendere molteplici prospettive significa comprendere la diversità delle persone, poiché la cultura è davvero fondamentale per il modo in cui pensiamo e come parliamo delle altre persone. Si tratta di capire che qualsiasi sistema, processo, prodotto, servizio è guidato, sviluppato o implementato da persone.

Nel mio lavoro, ho acquisito una vasta esperienza in diversi settori e discipline. Ricordo di aver svolto per la prima volta questo lavoro e di essere stata chiamata a guidare lo sviluppo e l'implementazione delle strategie DEI e ad aiutare aziende a sviluppare una base di pratiche sostenibili e sistematiche. Un approccio alla DEI pratico e orientato al business è sempre stato parte integrante dei miei studi universitari.

Quando comprendi la prospettiva globale, capisci che è necessario fare spazio per tutti coloro che sono presenti nella "stanza", allo stesso tempo prestando anche attenzione a chi non è nella "stanza". In questo consiste l'applicazione pratica della teoria DEI. Quindi, è necessario considerare e comprendere che quando si applica la DEI nella pratica è necessario riconoscere che gli strumenti e le strategie utilizzati dovrebbero essere personalizzati o modellati per una situazione, un problema o una causa specifici.  Ciò significa che devi capire che si tratta di un equilibrio dinamico che va costatemente adattato alle circostanze.

Grazie a queste conoscenze e alla mia esperienza nel mondo del business, il mio approccio è quello di comprendere innanzitutto le persone, l'azienda e le comunità che le circonda. Il mio compito poi diventa quello di lavorare con le persone per personalizzare e applicare le migliori pratiche (best practice) a quella determinata azienda o a quella comunità che serve, in modo efficace e significativo per garantire crescita e risultati positivi.

Se dovesse riassumere il concetto di DEI in una frase, come la descriverebbe?

Quando parliamo di DEI, a volte ne parliamo come se si trattasse di iniziative, ne parliamo come di un programma, come di una “cosa”, invece si tratta di un lavoro sistematico, di applicazione di processi, procedure che garantiscono pratiche eque in ogni aspetto dell'azienda.

Come descriverebbe un ambiente di lavoro caratterizzato da conoscenza culturale (cultural competence) e uno caratterizzato da competenza culturale (cultural proficiency)?

Conoscenza culturale e competenza culturale sono due cose diverse. Avere conoscenza culturale significa acquisire una comprensione, una competenza riguardo alle differenze culturali tra individui, ma è qualcosa di statico. Competenza culturale, invece, significa che non ti fermi avere delle conoscenze (per quanto approfondite). Quando sei culturalmente competente, cerchi continuamente di espandere la tua conoscenza, lavori costantemente all'accrescimento delle tue conoscenze. Pensi perennemente al ruolo che la cultura gioca nel modo in cui lavori. Quindi le aziende culturalmente competenti sono organizzazioni in cui le persone e i sistemi operano e si adattano costantemente, tenendo presente la cultura globale che le circonda. Essere culturalmente competenti per un'azienda significa che vie un costante controllo del polso della situazione. Vi sono sistemi di misurazioni, di raccolta di feedback e canali di comunicazione sempre aperti.

Un’organizzazione culturalmente competente riconosce che esistono migliori pratiche (best practice), ma queste devono essere testate attraverso un sistema di raccolta di feedback e, se necessario, adattate al contesto in cui vengono applicate. Possono funzionare o meno per tutti e ovunque, ma l'azienda continua a lavorarvi per trovare ciò che funziona meglio per il contesto culturale in cui opera.

Quando lavoro con un'azienda, lo faccio pensando sempre alla competenza culturale. Nel dare la mia consulenza potrei anche non utilizzare la classica terminologia legata alla DEI, ma lavoro con una mentalità culturalmente competente, che consente all'organizzazione mia cliente di migliorare anche in frangenti in cui non si pensa costantemente a come la cultura influisca o giochi un ruolo sul posto di lavoro e tra la forza lavoro.

Perché la DEI è importante?

La risposta breve è che se la DEI viene ignorata, ciò significa mettere l’impresa a rischio di essere espulsa dal mercato. La DEI fa ormai parte del sistema, ha un impatto diretto sui profitti e sulle perdite di un'azienda.

Il mio lavoro non consiste solo nell'elaborare strategie per attrarre e trattenere talenti provenienti da gruppi storicamente sottorappresentati, ma anche nel garantire che i dipendenti dell'impresa lavorino nel miglior ambiente possibile per essere produttivi, per generare lavoro e per voler rimanere a lungo in azienda.  Il mio compito è quello di far comprendere che le ricerche in materia mostrano che dall'applicazione di strategie DEI deriva una maggiore produttività e un aumento dei profitti, in modo tale che le aziende non solo creaino un ambiente lavorativo che attragga nuovi talenti, ma anche che dia un sendo di appartenenza e consenta la crescita professionale e la progressione di carriera. Il guadagno su un investimento nella DEI può essere misurato in molti modi: da quello basato sul vantaggio economico, rappresentatyo dal denaro risparmiato attraverso la fidelizzazione della forza lavoro, fino a quello basato sulla reputazione e sul rispetto che si acquisiscono tramite la chiara comprensione che tutti i clienti sono ugualmente importanti.

Quando un'azienda riesce a comprendere questo, giunge anche a capire che se essa non possiede o non acquisisce le competenze necessarie per indirizzare e guidare gli sforzi verso la DEI, il futuro dell'impresa è a rischio.

Credere che la DEI sia semplicemente il “lato morbido” degli affari (delle persone), che non abbia un impatto su profitti e perdite dell'impresa o che significhi escludere uomini/donne bianchi ed eterosessuali è un malinteso e un grave errore.

Potrebbe darmi un esempio di quello che Lei considera essere il Suo più grande successo professionale?

Per me successo significa vedere un cliente che abbraccia la DEI, un cliente che, anche se non comprendere appieno "il cosa e il come", si rende conto che si tratta di un lavoro continuo e che non sarà facile.

Ho avuto un cliente, dieci anni fa, che ha chiesto la mia consulenza quando si trovava nel mezzo di un difficile caso di discriminazione. Io e miei collaboratoriabbiamo affiancato l'azienda per quattro anni. Il cliente ha capito che affrontare una situazione di diseguaglianza e discriminazione non significa semplicemente seguire un workshop una volta ogni tanto. L’azienda ha compreso la necessità di un lavoro profondo sulla propria competenza culturale. Il mio lavoro si è concluso quando l'azienda ha adottato le migliori pratiche (best practice) DEI che erano sistematiche e sostenibili e ha implementato la strategia DEI in tutta l'organizzazione aziendale, perché la dirigenza aveva abbracciato il mio lavoro sulla competenza culturale e mi ha lasciata libera di condurre il processo di cambiamento in collaborazione con i manager.

Per me l'obiettivo è quello di assicurarmi che, quando concludo la mia consulenza, ci sia qualcuno in azienda che possa continuare a portare avanti il mio lavoro, che capisca la DEI ma che possa anche continuare a sviluppare il lavoro fatto in merito (che sia culturalmente competente).  Puntiamo alla competenza culturale nel nostro lavoro, motivo per cui non sempre usiamo necessariamente la terminologia tipica della DEI.

Qual è stata la Sua sfida più grande?

Per me la sfida più grande è rappresentata dal fatto che, tuttora, le persone continuano a fraintendere la DEI e continuano a utilizzare la DEI come un’arma.

La sfida più comune, invece, si verifica quando i membri di un’organizzazione non sono tutti sulla stessa lunghezza d’onda quando si tratta di DEI. Spesso mi rendo conto che la maggior parte del mio tempo quale consulente deve essere dedicato a creare relazioni basate sulla fiducia con la dirigenza, in modo da potermi dedicare al vero lavoro, quello di supporto e promozione della crescita aziendale radicata in strumenti e strategie di competenza culturale. Lavorare con la dirigenza è il punto da cui comincio il mio lavoro. Quando il management non accetta o non capisce il senso della DEI o del mio lavoro, può essere una sfida. Per me è fondamentale che almeno l'amministratore delegato o il general manager abbia una chiara comprensione del lavoro, in modo che possano aiutare a guidare la comunicazione interna ed esterna, con il mio supporto.

Poi c'è il problema del vero e proprio rifiuto. Fortunatamente, sono ben consapevole del percorso di sviluppo nel tempo della DEI nella percezione dei non addetti ai lavori, e dispongo di strumenti e strategie per superare le reticenze da parte delle imprese. Comprendo anche che il rigetto della DEI può essere radicato in problemi di comunicazione o mancanza di essa. In passato, trovavo difficile quando un dirigente non comunicava chiaramente all'azienda lo scopo del mio lavoro, motivo per cui lavoro con i miei clienti anche sulla comunicazione, interna ed esterna, relativa alle mie iniziative.

Un atteggiamento di rifiuto da parte di dirigenti che non vogliono assumere il ruolo di promotori delle iniziative DEI rappresenta una vera sfida per il consulente DEI. Nella mia esperienza ciò può essere radicato in una mancanza di comprensione della definizione di obiettivi DEI come obiettivi oggettivamente misurabili. L'esperienza mi ha insegnato che trascorrendo più tempo con i manager and offrendo loro formazione in ambito DEI si ottiene una migliore comprensione del tema e, di conseguenza, consenso e collaborazione della dirigenza riguardo gli obiettivi della DEI e il loro inestimabile valore.

In breve, sono consapevole che le sfide del mio lavoro riguardano spesso l'educazione e la comprensione, motivo per cui dedico molto tempo al front-end, stabilendo da subito in cosa consiste il mio lavoro e quali sono i risultati desiderati e attesi.

Un ultimo commento sul social washing?

Dobbiamo innanzitutto riconoscere che al momento ci troviamo ancora in un contesto in cui la DEI è perceptia da alcuni datori di lavoro come non molto più di un banale esercizio di "spunta" di una una casella, perché è "carino". La verità è che la DEI non è né bella né brutta. È un vero e proprio strumento e non si tratta sicuramente di spuntare una casella.  Siamo in un momento in cui le persone valutano le imprese in base alle loro pratiche e politiche sul DEI.

In altre parole, se hai una brutta ferita, non vuoi certo limitarti ad applicarvi un cerotto, se ciò di cui hai davvero bisogno è un intervento medico più serio. Le persone vedono benissimo che hai usato un cerotto, mentre in realtà avresti dovuto ottenere l'aiuto di un esperto. Nel mondo del business, le persone scelgono con chi fare affari e dove lavorare in base all'impegno che una determinata azienda ha adottato nella promozione e integrazione di politiche DEI.

Quindi, con così tante informazioni pubbliche sul percorso DEI di un'azienda, siamo in un momento in cui anche le imprese vengono valutate e si valutano a vicenda e scelgono di fare o meno affari tra loro in base a come viene adottata la DEI.

Il lavoro su diversità, equità e inclusione deve essere sistematico e sostenibile, le persone vedono chiaramente quando non è così.

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