Il 27 luglio 2025, al termine di un incontro bilaterale in Scozia, il presidente degli Stati Uniti,Donald Trump, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, hanno annunciato un nuovo accordo commerciale tra Washington e Bruxelles. Il fulcro dell’intesa è l’introduzione di dazi uniformi del 15% su una selezione di prodotti europei, a fronte di un piano di investimenti e acquisti transatlantici del valore complessivo stimato di oltre 1.300 miliardi di dollari. Una mossa che punta a garantire stabilità regolatoria e prevedibilità dei mercati, ma che apre scenari complessi per le imprese impegnate nel commercio internazionale.
Nonostante l’accordo sia stato presentato come un compromesso necessario per evitare misure più drastiche, l’impatto sulle esportazioni italiane rischia di essere rilevante.
Secondo una recente indagine condotta da Promos Italia, il 71% delle imprese esportatrici si dichiara insoddisfatto dell’intesa, ritenuta meno favorevole rispetto alle attese.
Inoltre:
il 46% delle aziende prevede di rivedere le proprie strategie commerciali verso il mercato statunitense,
il 58% indica il cambio euro–dollaro come un ulteriore elemento critico per la competitività del Made in Italy.
Le nuove tariffe, operative dal 7 agosto 2025, pur offrendo un quadro normativo definito, rappresentano un ostacolo concreto soprattutto per le PMI e per i gruppi industriali ad alta esposizione verso gli USA, che dovranno riorganizzare filiere, costi e margini.
Il peso economico delle misure, secondo la CGIA di Mestre, potrebbe arrivare a costare al sistema produttivo italiano fino a 15 miliardi di euro l’anno: una cifra equivalente all’investimento previsto per il Ponte sullo Stretto di Messina. L’allarme non riguarda solo l’export diretto, ma anche la riduzione dei margini di profitto, l’erosione della competitività, e il rischio di delocalizzazione da parte delle imprese più fragili o esposte.
A complicare ulteriormente lo scenario, si aggiunge il deprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro – stimato oltre il 10% nei primi sette mesi del 2025 – che rende meno appetibili i beni italiani sui mercati d’oltreoceano.
I comparti più esposti sono: macchinari industriali, farmaceutica, agroalimentare, mezzi di trasporto e tessile. A livello territoriale, la Lombardia si conferma la regione più attiva, con 3,7 miliardi di euro di export verso gli USA nel primo trimestre 2025 (+15% rispetto allo stesso periodo 2024). Seguono Toscana, Emilia-Romagna e Veneto. Milano da sola ha esportato 1,8 miliardi da gennaio a marzo.
Nonostante lo scenario complesso, l’Italia mantiene una forte vocazione all’export. Nel primo trimestre del 2025 le esportazioni verso gli Stati Uniti sono cresciute del +12% rispetto allo stesso periodo del 2024. Il 92% dei prodotti italiani esportati negli USA è costituito da beni di media e alta gamma, destinati a una clientela con elevato potere d’acquisto.
Secondo la Banca d’Italia, l’esposizione media al mercato americano resta contenuta: solo il 5,5% del fatturato delle aziende italiane deriva dalle vendite negli USA. Tuttavia, per chi opera in settori strategici, i cambiamenti in atto possono avere un impatto rilevante e richiedono risposte strutturate e tempestive.