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Autonomia strategica e capitale umano: la sfida invisibile della difesa europea

Il problema dimenticato del reclutamento militare in Europa

Nel dibattito italiano – e più in generale in quello europeo – si parla spesso di “autonomia strategica” dell’Unione, della necessità di rafforzare le capacità industriali e tecnologiche della difesa, di nuovi investimenti, di procurement comune. Ma c’è un elemento che resta ai margini del discorso pubblico e che, invece, rappresenta il vero banco di prova di ogni ambizione strategica europea: il reclutamento militare.

Dietro l’idea di un’Europa più forte, più autonoma e capace di difendersi in modo indipendente, si nasconde un problema demografico, culturale e politico di enorme portata: chi, concretamente, indosserà l’uniforme?

Il fattore umano della forza militare

L’esperienza della guerra in Ucraina ha dimostrato un dato innegabile: nel conflitto convenzionale contemporaneo non bastano la tecnologia e i droni. Serve “massa”, servono uomini e donne disposti e addestrati a combattere. Eppure, molti Paesi europei faticano oggi ad attrarre nuovi volontari, soprattutto nelle forze di base.

Il caso italiano, in questo senso, è emblematico. Pur offrendo contratti a tempo indeterminato, il nostro esercito registra un costante calo di candidature. Le statistiche mostrano una riduzione delle domande a partire dal 2020, con una leggera ripresa post-pandemia, ma senza mai tornare ai livelli del decennio precedente.
Il risultato è un paradosso: un esercito che invecchia rapidamente, con un’età media ormai superiore ai quarant’anni, e una crescente difficoltà nel rinnovare i ranghi.

Le cause: demografia, economia, distanza culturale

Le ragioni del fenomeno sono molteplici e intrecciate tra loro.

-Il calo demografico, innanzitutto: meno giovani significa meno potenziali reclute.

-Il miglioramento dell’economia: paradossalmente, quando il mercato del lavoro offre più opportunità, diminuisce l’interesse verso la carriera militare, spesso percepita come rifugio in tempi di crisi.

-La distanza tra società e forze armate: l’abolizione della leva ha ridotto drasticamente il contatto diretto tra cittadini e istituzioni militari. Oggi, in Paesi come Italia, Spagna o Germania, molti giovani non hanno mai interagito con un militare e conoscono le forze armate solo attraverso operazioni di ordine pubblico o emergenze, che raramente restituiscono un’immagine attrattiva del mestiere.

Il risultato è una progressiva perdita di prestigio simbolico e identitario delle forze armate nella società civile.

Le soluzioni possibili

Gli studiosi individuano diverse strade, ciascuna con vantaggi e criticità.

-Reintrodurre la leva obbligatoria: garantirebbe numeri immediati e un maggiore legame tra cittadini e istituzioni, ma richiede un consenso sociale oggi tutt’altro che scontato.

-Creare una riserva attiva, come accade in Francia, dove i civili partecipano periodicamente ad attività di addestramento e sono mobilitati quando necessario. È un modello costoso, ma flessibile e funzionale.

-Aumentare gli stipendi per rendere la carriera militare più competitiva. Una misura utile nel breve termine, ma insostenibile nel lungo periodo, poiché nessun esercito può reggere la concorrenza economica con il settore privato.

-Aprire il reclutamento ai cittadini stranieri, ipotesi già discussa in diversi Paesi europei, che amplierebbe la base potenziale ma solleverebbe interrogativi sulla coesione interna e l’identità nazionale.

Oltre gli incentivi: ricostruire il senso della missione

In ultima analisi, il problema del reclutamento non è solo quantitativo, ma culturale.
Riguarda la percezione stessa del ruolo delle forze armate nella società europea contemporanea. Non basta offrire più denaro o semplificare le procedure: serve un nuovo patto di senso tra cittadino e difesa, una rinnovata consapevolezza del valore collettivo che la sicurezza rappresenta.

Senza questo legame, ogni discorso sull’autonomia strategica rischia di restare astratto.

Perché – come ricorda la lezione della storia – nessuna potenza può difendersi senza il consenso e la partecipazione delle persone che la compongono.

L’approfondimento di questo numero è curato da Matteo Mazziotti di Celso, ricercatore dell’Università di Genova ed esperto in International Security e Civil-Military Relations.