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Italia tra export e dazi: le insidie fiscali per provincia

dazi

Le tensioni geopolitiche e la crescente frammentazione economica globale hanno reso il commercio internazionale un terreno sempre più accidentato. Nel contesto italiano, l’export continua a essere un pilastro fondamentale per la crescita economica, ma l’elevata esposizione di molte province alle dinamiche commerciali globali solleva interrogativi cruciali sulla sostenibilità di un modello di sviluppo fortemente dipendente dai mercati esteri. Con il riallineamento delle catene di approvvigionamento e l’introduzione di nuovi dazi da parte di attori economici chiave, il rischio fiscale connesso all’export diventa una variabile da monitorare con attenzione.

Export e fiscalità: l’equilibrio tra competitività e regolamentazione

Secondo un’analisi condotta da Prometeia per Il Sole 24 Ore del Lunedì, su dati Istat 2024, il rapporto tra il valore dell’export e il PIL nazionale si attesta al 31,1%, con punte che superano il 50% in ben 22 province italiane. Questo significa che una provincia su cinque vede più della metà della propria attività economica dipendere dalle esportazioni.

Questa elevata esposizione solleva questioni rilevanti in ambito fiscale e normativo. La complessità del regime IVA intracomunitario, la gestione delle transfer pricing policies per le multinazionali e l’applicazione delle imposte doganali in un contesto di dazi inaspriti richiedono una pianificazione fiscale attenta per evitare penalizzazioni competitive. La stessa tracciabilità fiscale delle operazioni internazionali diventa un nodo strategico, soprattutto in settori chiave come il farmaceutico, la chimica e l’elettronica, dove le imprese italiane sono particolarmente attive.

Le province più esposte e il peso della fiscalità internazionale

Arezzo si conferma la provincia più orientata all’export, con un rapporto tra vendite all’estero e PIL pari al 141,2%. Qui il commercio dell’oro ha giocato un ruolo cruciale, con la Turchia tra i principali acquirenti. A seguire, Lodi, dove l’export ha registrato un incremento del 98,5% dal 2019 al 2024, trainato principalmente dalle vendite intra-UE. Altri territori, come Siracusa, Belluno, Vicenza e Piacenza, evidenziano un rapporto export/PIL superiore al 60%, ponendo il tema della fiscalità internazionale al centro delle strategie di crescita.

L’applicazione di regimi fiscali agevolati in alcune giurisdizioni estere potrebbe creare distorsioni competitive per le imprese italiane, che si trovano a operare in un quadro normativo europeo sempre più stringente. Ad esempio, le recenti normative dell’OCSE sulla global minimum tax del 15% per le multinazionali potrebbero ridurre i vantaggi fiscali di alcune sedi produttive estere, rendendo necessario un ripensamento delle strategie di internazionalizzazione delle imprese esportatrici italiane.

Il Mezzogiorno tra ripresa e incertezze fiscali

L’analisi evidenzia anche un’interessante evoluzione dell’export nel Sud Italia. Tra il 2019 e il 2024, province come Reggio Calabria (+131,6%), Crotone (+255%) e Caltanissetta (+338%) hanno registrato incrementi a tre cifre nel valore delle esportazioni. Tuttavia, il volume complessivo rimane contenuto e il rapporto export/PIL modesto. La recente flessione dell’export automobilistico in provincia di Potenza evidenzia la fragilità di una crescita ancora instabile.

Sul piano fiscale, il Mezzogiorno continua a risentire di un sistema di incentivi e agevolazioni fiscali frammentato, che non sempre riesce a stimolare investimenti strutturali a lungo termine. L’assenza di una chiara politica di fiscalità agevolata per le imprese esportatrici rischia di limitare le potenzialità del Sud, che pure ha mostrato segnali di dinamismo negli ultimi anni.

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