Trump ritira gli Stati Uniti dall’accordo OCSE sulla minimum tax: implicazioni globali e reazioni europee
La decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dall’accordo OCSE sulla tassazione minima globale delle multinazionali rappresenta una svolta significativa nelle dinamiche fiscali internazionali. L’intesa, sostenuta da oltre 140 paesi e incentrata su un’aliquota minima del 15% per i profitti delle grandi aziende, mirava a limitare l’elusione fiscale e a evitare una competizione al ribasso tra i regimi fiscali nazionali. Washington, tuttavia, ha dichiarato l’accordo “nullo e privo di validità” per gli Stati Uniti, sollevando preoccupazioni tra i partner globali.
Il presidente Donald Trump ha motivato la scelta sottolineando che l’accordo non ha effetto legale negli Stati Uniti in assenza di una ratifica del Congresso, storicamente contrario a questo tipo di misure. Nel memorandum presidenziale, Trump ha inoltre incaricato il Tesoro di predisporre “misure protettive” contro i paesi che intendono applicare regimi fiscali ritenuti discriminatori nei confronti delle aziende statunitensi. La mossa si inserisce in una più ampia strategia di protezionismo economico che caratterizza la nuova amministrazione, ribadendo la priorità della sovranità fiscale nazionale rispetto agli impegni internazionali.
La Commissione europea, tramite il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis, ha espresso rammarico per la decisione americana, auspicando un dialogo costruttivo con la nuova amministrazione per trovare un punto d’incontro. L’Unione Europea rimane impegnata nel rispettare i termini dell’accordo OCSE, sottolineando l’importanza di un approccio multilaterale per garantire equità fiscale e stabilità economica globale.
L’accordo OCSE, articolato in due pilastri, mirava non solo a introdurre una tassazione minima globale (Pillar Two) ma anche a redistribuire i profitti delle multinazionali tra i paesi in cui operano (Pillar One). Il ritiro degli Stati Uniti mette a rischio l’efficacia del sistema, minando la sua portata globale e incentivando possibili disallineamenti tra le politiche fiscali nazionali. Senza il coinvolgimento di Washington, i paesi europei e altri firmatari rischiano di vedere indeboliti i benefici attesi dall’accordo.