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Regno Unito: guida ai brevi viaggi di lavoro in UK

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I brevi viaggi di lavoro rappresentano, senza ombra di dubbio, uno dei trend topic della Brexit. Dal 1° gennaio 2021, sono entrate in vigore nuove disposizioni sull'immigrazione, principalmente a causa della Brexit, che ha eliminato il principio del libero movimento comunitario per il Regno Unito. Di conseguenza, i cittadini dell'Unione Europea devono ora ottenere un visto, con alcune limitate eccezioni, per lavorare nel Regno Unito.

Questo cambiamento normativo ha generato diverse sfide per le aziende italiane che necessitano di inviare personale nel Regno Unito per periodi temporanei e brevi missioni lavorative. La complessità della situazione si riflette sia nelle molteplici esigenze generate dalla Brexit che nelle varie tipologie di visti applicabili a diverse circostanze. Uno dei settori più problematici, che esamineremo in dettaglio qui, riguarda la fornitura di servizi connessi a contratti di licenza o fornitura di beni, quali attrezzature, macchinari, hardware e software.

Spesso, le società straniere acquirenti finali non possiedono le competenze necessarie per gestire autonomamente queste attività. Nei contratti stipulati, oltre alla consegna del bene stesso, vengono inclusi vari servizi accessori, come l'installazione, il collaudo, la manutenzione, il montaggio e lo smantellamento. In alcuni casi, è previsto anche il supporto post-vendita da parte di tecnici specializzati inviati direttamente dal produttore o fornitore, o comunque da figure di fiducia. A causa della natura delicata di tali lavori, il completamento può richiedere diverse settimane.

Le nuove norme sull'immigrazione, applicate nel Regno Unito dal primo gennaio 2021 e valide anche per la manodopera europea, impongono il requisito di visto per l'ingresso dei lavoratori italiani. Tuttavia, vanno menzionate alcune eccezioni che consentono l'ingresso senza visto.

In linea con le ragioni che hanno portato alla vittoria referendaria del fronte del Leave, cioè dei sostenitori della fine del free movement comunitario in Regno Unito, l’accordo di recesso Regno Unito-UE (Withdrawal Agreement, “WA”), prevede, nella sezione relativa ai Diritti dei cittadini, unicamente la tutela dei lavoratori dell’UE/ britannici che esercitavano i diritti di libera circolazione e stabilimento nel Regno Unito/UE prima del 1° gennaio 20211.

La delocalizzazione a lungo termine, se successiva a tale data, dovrà invece sottostare alle ricordate norme sull’immigrazione nazionali, con le quali il governo britannico ha chiaramente espresso la volontà di equiparare i cittadini europei a quelli dei Paesi terzi, implementando un sistema a punti (“point based System”) che privilegia la competenza rispetto alla provenienza.

Brevi viaggi di lavoro nel Regno Unito: il Trade and Cooperation agreement

Il TCA, concordato tra le parti il 24 dicembre 2020, stabilisce come verranno disciplinate le relazioni future tra UK ed EU, ponendo particolare enfasi sulle questioni relative al libero scambio di merci. Un aspetto che, come già prima nel WA, non ha ricevuto ampia copertura, è invece quello dello scambio di servizi, ancor più con riferimento alla regolamentazione del movimento delle persone. Non è infatti previsto un titolo specifico relativo alla mobilità; all’interno del TCA sono però contenute alcune disposizioni limitate che introducono diritti di spostamento temporaneo2 e che in alcuni casi offrono soluzioni alla problematica in esame, in quanto pienamente recepite – o già previste – dalle riformate Immigration Rules britanniche.

Business Visitors Visa

I Business Visitors (Articolo SERVIN.4.3) secondo la previsione del TCA possono soggiornare nel territorio  in assenza di visto, per svolgere determinate attività consentite (stabilite nell’articolo SERVIN-3.8). Ad esempio, possono partecipare a meetings, svolgere ricerche indipendenti, ricerche di mercato, partecipare a corsi di formazione, fiere e mostre, impegnarsi in trattative di vendita o acquisto o altre transazioni commerciali, purché non vendano beni al pubblico o forniscano servizi direttamente ai clienti/ consumatori durante il loro soggiorno.

All’interno di questa categoria sono stati inseriti anche alcuni tipi di forniture di servizi, prevedendo che installatori professionisti, e personale adibito ai servizi di riparazione e manutenzione possano fornire servizi post-vendita o postlocazione senza bisogno di visto, se questo è stato concordato in un precedente contratto con un acquirente dell’altra Parte.

A partire dal 6 ottobre 2021, il punto PA 7 e’ stato modificato come segue: “Un dipendente di una società estera può installare, smontare, riparare, fornire assistenza o consulenza su macchinari, attrezzature, software o hardware (o formare lavoratori con sede nel Regno Unito per fornire questi servizi) quando esiste un contratto di acquisto, fornitura o leasing con una società o organizzazione del Regno Unito e (a) la società estera è il produttore o il fornitore; o (b) la società estera fa parte di un accordo contrattuale per i servizi post-vendita concordati al momento della vendita o del leasing, compreso in una garanzia o altro contratto di servizio accessorio alla vendita o al leasing”.

L’aggiunta della parte (b) costituisce un’apertura espressa nei confronti di contratti tra tre parti, in cui una società straniera (nel nostro caso italiana) produce e fornisce beni e/o attrezzature, e una società straniera terza fornisce la manodopera specializzata per eseguire i servizi accessori alla vendita (manutenzione, installazione, etc) alla società britannica acquirente. Perché la fattispecie possa verificarsi ed essere in linea con le più recenti previsioni, è però necessario che l’accordo con la società cui è stato subappaltato il servizio sia in essere al momento della vendita principale e quindi, nel nostro esempio, contenuto nel contratto di vendita tra la società italiana e l’acquirente britannico.

La fattispecie è dunque condizionata a che il contratto tra la società fornitrice e la sua subappaltante sia in vigore alla data del contratto principale di vendita, fornitura o lease. Le autorità di frontiera britanniche – si chiarisce nella guidance resa nota il 6 ottobre – potrebbero richiedere di prendere visione del contratto tra l’azienda estera (europea) e quella con sede nel Regno Unito, e tale contratto dovrebbe specificare gli accordi in atto per il servizio post-vendita. In caso tale contratto non sia ritenuto soddisfacente, avranno facoltà di contattare la società con sede nel Regno Unito per verificare l’autenticità delle disposizioni contrattuali.

Qualora il contratto di vendita originario sia stato stipulato in un momento antecedente dell’uscita del Regno Unito dall’UE, il contratto potrebbe non includere i dettagli del servizio post-vendita. In questi casi sarà possibile prendere in considerazione altre prove come, ad esempio, una lettera della società con sede nel Regno Unito che stabilisca la natura del contratto di servizio in essere e la data in cui la società con sede nell’UE ha iniziato a fornire questo servizio,

Trattandosi di un’eccezione alla previsione generale del divieto di lavorare in UK in assenza di visto, e nonostante la regola dei 180 giorni, data la eccezionalità della fattispecie in esame, si presume che i visitatori che appartengono alla categoria dei prestatori di servizi di fornitura/manutenzione/installazione si trattengano in UK per un periodo breve, generalmente meno di un mese, appunto perché il luogo di svolgimento primario della loro attività deve rimanere all’estero. La guidance dell’Home Office ha comunque chiarito che anche una permanenza più lunga, anche superiore a 90 giorni, non rappresenta di per sé un motivo automatico di rifiuto, ma può portare le autorità di frontiera ad investigare ulteriormente sull’intenzione dei lavoratori di trovarsi nel Regno Unito per una visita temporanea. È dunque possibile che l’incarico si protragga, ma alla frontiera britannica si dovrà essere in grado di spiegare lo scopo della visita e fornire la documentazione necessaria a dimostrare che la stessa è limitata nel tempo, mostrando, ad esempio:
- una lettera del loro datore di lavoro, che confermi:
-il motivo della loro visita;
-la natura del lavoro (e come questa sia un’attività consentita); che al lavoratore saranno pagate le spese di viaggio, vitto e alloggio da parte del datore di lavoro non britannico;
-la portata temporale limitata dell’incarico;
-che i lavoratori inviati temporaneamente in UK rimarranno sempre impiegati dal loro datore di lavoro non britannico (compresi i dettagli del titolo di lavoro, la data di inizio dell’impiego e lo stipendio).
-una copia del contratto che disciplina i servizi tra la società britannica e la società non britannica (ed eventualmente con il terzo prestatore del servizio nei casi di contratto in cui il fornitore del bene ed il prestatore del servizio post vendita siano due soggetti diversi);
-i biglietti aerei di rientro, e così via.

Global Business Mobility Visa – Service supplier: le novità sui viaggi di lavoro brevi nel Regno Unito

I servizi accessori alla fornitura di servizi che non rientrano nell’ambito di applicazione della normativa sui Business Visitors, potrebbero rientrare nella previsione di cui all’articolo Servin 4.1 TCA, come recepito dal Regno Unito nell’ambito del visto Global Business Mobility Visa, un visto che racchiude al suo interno diverse fattispecie6. In questo caso con specifico il riferimento è alla categoria Service Supplier7 . È un visto rivolto a lavoratori che prestano servizi ricompresi in Accordi Internazionali, quali quelli inclusi nello stesso TCA, o quelli ricompresi nel GATS (General Agreement on Trade in Services). A differenza dei Business Visitors, in questo caso si tratta però di una categoria che soggiace a norme ben più stringenti e prevede una preventiva sponsorizzazione da parte di una società britannica con licenza di sponsor, volta a consentire ai dipendenti di un fornitore di servizi contrattuali estero (Contractual Service Suppliers “CSS”) di recarsi a lavorare nel Regno Unito per un massimo di dodici mesi.

Perché questo possa verificarsi sarà però necessario soddisfare determinati requisiti, tra cui:

-che il lavoro sia oggetto di un contratto di fornitura di servizi nel Regno Unito da parte di un’impresa estera stabilita nel territorio di un’altra parte beneficiaria dell’accordo (GATS, TCA, o qualsiasi altro accordo internazionale concluso ed in vigore); deve trattarsi di un contratto assegnato attraverso un “open tender” (cioè una gara aperta) o altra procedura che ne garantisca l’autenticità e l’imparzialità;
- che il fornitore di servizi abbia sede nel Paese (firmatario dell’accordo) in base al quale fornisce servizi; „
-che il fornitore di servizi non abbia alcuna presenza commerciale nel Regno Unito;
-che tale servizio rientri nell’ambito degli impegni assunti nel relativo contratto.

Le aziende del Regno Unito non possono sponsorizzare un CSS per fornire manodopera a un’altra organizzazione terza. Inoltre, il CSS, I) deve aver lavorato per l’azienda di invio per almeno 12 mesi; e II) deve normalmente possedere un titolo universitario o un’esperienza professionale tecnica e pertinente al settore per cui è sponsorizzato, nonché possedere tre anni di esperienza professionale nel settore interessato.

Il Temporary Work Visa è di solito un percorso alternativo che si rende utile quando le attività non sono permesse dalle regole per i Visitors Visa (per esempio, non rientrano nelle disposizioni PA7 “produttore/fornitore” di cui sopra).

Chi è esattamente un Service Supplier e quando è utile questo percorso?

Come anticipato, un fornitore di servizi a contratto è un’azienda che fornisce servizi in un settore specifico, secondo uno specifico accordo internazionale elencato nella Tabella A della Sponsor Guidance. L’azienda non deve avere una presenza commerciale nel Regno Unito (il che significa che non deve avere un ufficio, una filiale o una controllata nel Regno Unito) e tuttavia, per utilizzare questo percorso di immigrazione, ha bisogno di uno sponsor britannico.

È immediato chiedersi per quale motivo un’azienda britannica dovrebbe assumersi l’onere di sponsorizzare i dipendenti di qualcun altro per consentirgli di venire a lavorare in Regno Unito, e la risposta ancora una volta è legata alla Brexit: si tratta infatti di un percorso che consente alle aziende britanniche di colmare la carenza di prestatori di servizi qualificati che ha fatto seguito alla fine del free movement dei lavoratori europei, mantenendo in questo modo la continuità aziendale.

Anche se non c’è un requisito di conoscenza della lingua inglese, si tratta comunque di un percorso che ha requisiti di ammissibilità rigorosi ed è dunque da considerare solo se non ci sono altre vie di immigrazione disponibili per portare manodopera in Regno Unito.

L'Avv. Manuela Travaglini è consulente legale dell’Ambasciata d’Italia a Londra in tema di Brexit e diritti dei cittadini
italiani in Regno Unito.

La guida è stata elaborata in collaborazione con ICE, Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

5 Dic 2023

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