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Criptovalute: l’inquadramento come prodotti finanziari

L’avvento delle criptovalute nei mercati finanziari ha posto il problema della loro qualificazione come prodotti finanziari e quindi dell’applicazione delle norme di tutela per gli investitori tradizionalmente previste per questi ultimi.

Se da un lato si assiste da tempo a solenni proclami da parte delle stesse autorità di vigilanza, che auspicano a diverso titolo la regolamentazione del fenomeno - si sono recentemente espressi Paolo Savona - numero uno della Consob - e Gary Gensler, presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), l’equivalente statunitense della nostrana Consob, secondo i quali le criptovalute non sono da considerare moneta ma prodotti finanziari – nei fatti la qualificazione delle criptovalute come prodotti finanziari è ancora discussa. È evidente, tuttavia, come non sia possibile attendere oltre per fare chiarezza sulla questione dato che – come evidenziato dall’ultimo report di Bank of America - l’intero ecosistema degli assets digitali, con circa 16 mila miliardi di dollari in transazioni su blockchain nel 2021 di cui 3 mila miliardi in criptovalute, è troppo grande per continuare a porre dubbi circa il suo inquadramento regolamentare.

Sul fronte giurisprudenziale, il tema è stato affrontato per la prima volta con sentenza della Corte di Cassazione n. 26807 del 25 settembre 2020.

A seguito della sentenza del 2020, numerosi sono stati gli articoli pubblicati online e dai roboanti titoli che annunciavano: “Sentenza storica sui Bitcoin, la Cassazione: Sono prodotti finanziari” oppure “Per la Cassazione i bitcoin sono “un prodotto finanziario”, non solo una moneta”. A ben vedere, in realtà, il testo della sentenza non definisce di per sé la criptovaluta ( come un prodotto finanziario, ma afferma piuttosto che ‘la vendita di Bitcoin’ che [..] ‘veniva reclamizzata come proposta di investimento presentando informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare i profili di rischio dell’investimento’ consiste in un’attività soggetta alle norme sull’ offerta al pubblico, e perciò agli adempimenti previsti in materia di prodotti finanziari.

Criptovalute: la sentenza n. 44337/21

Sulla questione è recentemente tornata la Suprema Corte con sentenza n. 44337/21 secondo  cui, la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d'investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (Cass. sentenza n. 44337/21).

Sembrerebbe quindi che i valori virtuali non rappresentino, di per sè stessi, un prodotto finanziario, quanto che la loro vendita sia soggetta alle norme in tema di intermediazione finanziaria qualora tale attività presenti degli indici di finanziarietà - ancorati ad una considerazione discrezionale del giudice condotta caso per caso -, e cioè quando l’investimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore sia connotata dall’aspettativa di un profitto economico futuro e dalla presenza di fattori di rischio (Corte di Cassazione n. 2736 del 2013).

Tra l’altro, sembra che le stesse valutazioni siano alla base della recente introduzione, da parte del Governo spagnolo – primo in Europa - dell’obbligo per i promotori di campagne pubblicitarie di criptovalute rivolte ad una platea superiore a centomila persone, di ricevere ex ante l’autorizzazione della CNMV – l’equivalente spagnolo della CONSOB -  prevedendo che ogni annuncio dovrà avvertire i destinatari che “gli investimenti in criptovalute non sono regolati, potrebbero non essere adeguati al retail e comportano il rischio di perdere l'intero capitale impegnato” così da sottoporre parzialmente anche gli operatori non vigilati agli obblighi di compliance di tutela dell’investitore – stesso risultato a cui sembrerebbero aspirare le citate pronunce della Corte di Cassazione. La stessa impostazione sarà probabilmente adottata in Francia, dove una star televisiva ha ricevuto una sanzione di 20.000 euro per “pratiche commerciali ingannevoli” dopo aver pubblicizzato un sito di trading di Bitcoin su Snapchat, mentre in Germania già dal 2020 la BaFin – in contrasto con la pronuncia del 2018 della Corte Regionale Superiore di Berlino secondo la quale i bitcoin non si qualificano come strumenti finanziari ai fini della legge bancaria tedesca – ha definito le cripto-valute come strumenti finanziari. Un importante passo in questo senso è invece stato compiuto in Italia negli scorsi giorni quando al MEF è stato firmato un decreto che prevede l’obbligo – in caso di esercizio professionale (anche da remoto/on-line) di servizi relativi  ad attività inerenti la valuta virtuale e di prestazione di servizi di portafoglio digitale da parte di operatori sia nazionali che esteri - di comunicazione ed iscrizione presso apposito registro istituito presso l’OAM, confermando di adeguarsi alla direzione intrapresa dagli altri Paesi europei.

25 Ott 2023

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